I barber shop italiani, luoghi dove il servizio include cortesia, buone letture e il caffé. Intervista Sebastiano Liso Presidente Assacconciatori Milano

Sebastiano Liso, milanese di adozione e pugliese di nascita, giovane ed intraprendente erede della tradizione della migliore barberia milanese, si propone ai suoi clienti con un servizio che è un mix di qualità, competenza e savoir faire e che lui stesso definisce come “l’Italiano”. Presidente, da un anno, di Assoacconciatori di Milano e provincia, Liso vuole ampliare in suo mercato e proporsi sul territorio regionale, forte del successo dei suoi sette negozi a Milano, in cui lavorano quaranta dipendenti. Con lui abbiamo parlato non solo della sua esperienza, ma anche di un settore che si sta imponendo nelle città italiane e che sta riproponendo il concetto della barberia di una volta.

Un barbiere, quindi, che non “acconcia” e basta, ma che è anche interlocutore ed artefice di un momento di vero benessere per il cliente?
Esattamente. Io ritengo che il nostro lavoro non possa prescindere dalla cura del cliente. Una cura vera che non si esplicita solo nel soddisfare le richieste, ma nello strutturare un momento proprio per la clientela a loro totale beneficio. I barber shop, infatti, diventano luoghi in cui ci si può prendere cura di sé non solo con un taglio a barba o capelli, ma con due chiacchiere, buone letture, musica e un caffè. Un’attività che, dunque, definirei a cavallo tra quella dell’imprenditore e dell’artigiano.

Qual è il suo cliente tipo?
Uomini di una certa età, ma anche giovani che hanno ritrovato il piacere di rilassarsi nei barber shop, come facevano i loro nonni ed i loro padri, riscoprendo una tradizione che purtroppo andava morendo.

Quali, invece, le problematiche del settore?
La formazione, sia teorica che pratica, che dovrebbe essere completamente cambiata. Andrebbe, infatti, intrapreso un percorso formativo di cinque anni, affidando la formazione ad Enti Privati e Pubblici. Questo permetterebbe alle nuove generazioni di formarsi a pieno titolo, come tutti gli altri operatori presenti sul mercato italiano ed europeo. La nostra Associazione sta lottando per fare passare un concetto culturale vero e cioè non ci si improvvisa, ma è necessario prepararsi per affrontare le sfide del mercato e del futuro. Accanto a questo, i ragazzi che escono dalle scuole dovrebbero intraprendere un percorso pratico: manca oggi quello che una volta si chiamava ragazzo di bottega, perché oggi i giovani, dopo alcuni corsi di taglio fatti in scuole spesso non gestite da parrucchieri, sono qualificati solo sulla carta e si scontrano con il mondo del lavoro, rendendosi conto che quello che hanno fatto fino a quel momento è servito davvero a poco. Insomma molta teoria e poca pratica, che poi è un aspetto fondamentale del lavoro di qualsiasi artigiano.

Ritiene ci siano anche altre criticità?
Sì: l’orario di apertura. Bisogna sdoganare le 40 ore settimanali: oggi un negozio non può permettersi di fermare l’attività all’ora di pranzo o restare chiuso due giorni alla settimana. I tempi sono cambiati ed è giusto che anche noi cambiamo e seguiamo il mondo che va avanti. E’ vero che c’è tanto abusivismo, ma è anche vero che se lavori bene, il mercato ti premia sempre.

Come vede il futuro della categoria?
Al momento sono ottimista: credo che questo settore si andrà consolidando sempre di più, ma quello che mi preme affermare è che questi mestieri non dovrebbero essere considerati marginali, ma al pari di altre categorie professionali, meritevoli si considerazione e di sviluppo. Ritengo, infine, che ad occuparsene, dal punto di vista formativo, dovrebbe essere il Ministero della Pubblica Istruzione.